Un musicista dall’assoluto rigore tecnico, compostezza scenica, cui  bastava dirigere  con un leggero cenno del capo.

Festival Internazionale Scaligero Maria Callas 2018: tra le ricche iniziative in programma  anche un incontro  per ricordare l’illustre musicista di origine veneta, di Rottanova di Cavarzere,  Tullio Serafin a cinquanta anni dalla sua scomparsa. Un’occasione  suggestiva,  presso la Feltrinelli,  per rievocare il suo legame con la Callas,  diretta nel 1947, durante il  suo debutto in Italia,  proprio qui all’Arena di Verona come protagonista della  Gioconda di Amilcare Ponchielli.

Presenti all’appuntamento il Maestro Nicola Guerrini,  fondatore e presidente  del Festival,  e la musicologa Nicla Sguotti, studiosa  dell’opera del direttore artistico ed autrice del libro Cinque lire per un biglietto, Tullio Serafin la musica e l’incanto, edizioni Apogeo 2018.  Un testo, accompagnato dalle originali  illustrazioni di Piero Sandano,  che ripercorre a grandi linee la vita professionale di un insigne Maestro, di un uomo che, come ha esordito Guerini, deve ritornare ad essere «esempio di come si deve lavorare a teatro».

Un musicista dall’assoluto rigore tecnico, compostezza scenica, cui  bastava dirigere  con un leggero cenno del capo.  Dunque personalità volutamente molto lontana da quel pathos e gestualità plateali, da quella seduzione magica del direttore d’orchestra  cui ci ha poi  abituati il teatro contemporaneo. Serafin:  non  un divo, ma una persona modesta, misurata,  convinta che «l’arte non è effetto, ma affetto», come riporta Guerini.  E amore, passione  per la musica, dedizione ad essa  costituirono del resto  tutta la sua  vita.  In principio fu la musica, potremmo dire per celebrarlo.

L’attrazione per il bel canto lo rapì fin da piccolo quando, raccontano,  si tranquillizzava solamente all’ascolto di melodie. Una vocazione che lo portò ancora adolescente ad abbandonare il suo piccolo paese di provincia per andare a Milano a  studiare e diplomarsi al Conservatorio, lavorare poi alla Scala fino a  diventarne  direttore artistico. Anni di scuola,  duro lavoro, di un uomo che amava ripetere «mi sono fatto da solo». Verdi, Wagner i suoi grandi maestri dello spirito che egli portò spesso in scena. Sobrietà, intelligenza, ricerca della perfezione, sono le doti che contribuirono ben presto alla sua affermazione a livello nazionale ed internazionale, restituendogli fama e successo.

Soprattutto si distinse per quello  straordinario e ardito  intuito professionale che lo portò ad ideare il progetto di sperimentare  l’opera lirica all’aperto (sull’arena), nello specifico proprio in un anfiteatro romano qual è l’Arena di Verona. L’idea folle, inaudita per quegli anni si mostrò  invece un’impresa di modernità rivoluzionaria, una svolta di innovazione epocale per la lirica, si trasformò in un avvenimento strepitoso che tramutò l’Arena in un simbolo della lirica mondiale.

Era il 1913 quando Serafin stesso diresse la prima assoluta di Aida in Arena. Un evento memorabile che segnò la storia del Novecento. Un’orchestra di 800 componenti, 100 in buca, 20.000 spettatori, la  città bloccata ad ascoltare estasiata quelle tonalità che si diffondevano per tutte le gradinate avvolgendo l’intero anfiteatro,  librandosi  poi per tutta  piazza Brà. Miracolo della musica. Serafin divenne un mito. E sempre qui in questa cattedrale del bel canto portò e diresse  il 2 agosto 1947 Maria Callas della quale, da  esperto scopritore di importanti talenti  canori, colse da subito la potenzialità della voce, l’originalità della sua reinterpretazione  del repertorio  melodrammatico. Una voce che però andava curata, affinata tecnicamente. Fu dunque il Maestro con un lavoro attento, competente, a perfezionarla professionalmente, a trasformarla nella Divina che noi tutti conosciamo. Dietro una grande artista, si potrebbe dire, c’è sempre un grande maestro, in questo caso Serafin, un  paradigma che ancora ha molto da insegnare al mondo della lirica contemporanea in termini di passione, lungimiranza e dedizione.

Callas e Serafin, due artisti non semplicemente da commemorare consegnandoli al passato, ma da assumere a modello per riscoprire nell’opera lirica un linguaggio  “popolare” ancora in grado di parlare al presente, così come immancabilmente sanno fare i capolavori dei classici che pongono a  tema la Bellezza e la Vita. Una sacralità del palcoscenico areniano che troppo spesso oggi viene violata ospitando il baccano di falsi idoli.

Corinna Albolino